Primo soccorso e responsabilità collettiva

Pubblicato il 9 aprile 2025 alle ore 10:07

Emergenze in spazi pubblici: quando mancano le competenze, e il senso di responsabilità

Una donna sola, un malore improvviso, nessun sanitario all’orizzonte.
È accaduto pochi giorni fa, all’aeroporto JFK di New York. Mentre eravamo in coda per il controllo passaporti, abbiamo assistito a un episodio che avrebbe potuto avere conseguenze drammatiche e del quale, in tutta sincerità, non ne conosciamo i risvolti.

Una donna si è accasciata a terra, priva di sensi. Due agenti della sicurezza aeroportuale sono intervenuti, ma — con evidenti lacune tecniche — hanno tentato di sollevarla, poi di metterla seduta tirandola per le braccia. L’effetto è stato quello di farle perdere ulteriormente equilibrio e coscienza, fino a farle battere la testa sul pavimento.

Siamo intervenuti io e la mia compagna, segnalando di avere almeno una preparazione di base in primo soccorso. Abbiamo messo in atto quelle poche manovre essenziali che ogni cittadino dovrebbe conoscere: posizionamento in sicurezza, sostegno del capo, tutela della privacy e della dignità della persona. Solo dopo nostra esplicita richiesta è stata chiamata un’ambulanza.

Dal nostro stesso volo erano sbarcate circa 220 persone; considerando anche il personale aeroportuale presente nell’area, è realistico stimare che almeno 250 persone abbiano assistito alla scena. Eppure, l’intervento effettivo è avvenuto solo da parte mia, della mia compagna e di un giovane che ha offerto il proprio cuscino da viaggio per sostenere la testa della donna. Abbiamo prestato soccorso per circa quindici minuti, fino all’arrivo di altri tre agenti della sicurezza — ma ancora nessun sanitario o personale medico.

Sembra quasi incredibile che, in un luogo come l’aeroporto JFK, non vi sia un presidio sanitario pronto a intervenire nell’immediato. Ma, per quanto questo aspetto meriti attenzione, non è lì che vogliamo fermarci. Quello che ci preme davvero è riflettere su un tema più ampio e profondo: la responsabilità collettiva, individuale e sistemica, nella preparazione al primo soccorso e nell’intervento altruistico e consapevole.

Primo soccorso: una competenza trasversale, non delegabile

Il primo soccorso non è una competenza riservata a medici, infermieri o addetti specializzati: è una competenza trasversale, fondamentale in tutti i contesti ad alta affluenza di pubblico. In aeroporto, come in un centro commerciale, in una scuola o in un ufficio postale, la probabilità statistica che si verifichi un’emergenza sanitaria è elevata. L’assenza di personale preparato e la difficoltà nel riconoscere una situazione critica e agire tempestivamente sono elementi che possono aggravare la prognosi, o compromettere definitivamente la vita della persona colpita.

Nel caso specifico, le manovre tentate dagli operatori della sicurezza (sollevamento, trazione degli arti superiori, posizione seduta in caso di sospetto arresto o trauma) erano non solo errate, ma potenzialmente dannose. Un intervento tempestivo, corretto, rispettoso dei protocolli base (come la valutazione della coscienza e del respiro, l’attivazione dei soccorsi, la posizione laterale di sicurezza o RCP se necessaria) può fare la differenza. Ma per farlo, bisogna essere formati, almeno nei rudimenti.

Lacune sistemiche e responsabilità collettiva

Questo episodio solleva una domanda cruciale: quanti luoghi pubblici sono realmente preparati a gestire un’emergenza medica nei primi minuti decisivi? E ancora: quante persone, tra noi cittadini, saprebbero come comportarsi davanti a una perdita di coscienza, un arresto cardiaco, una crisi epilettica o un episodio di soffocamento?

La risposta è spesso scoraggiante. La formazione al primo soccorso resta opzionale, occasionale, lasciata all’iniziativa individuale o a corsi obbligatori in contesti professionali molto specifici. Ma ciò che abbiamo vissuto ci ricorda che la gestione delle emergenze è una responsabilità collettiva, diffusa, che riguarda tutti — non solo i “tecnici”.

In parallelo, emerge un tema ancora più sottile e profondo: quello della responsabilità etica individuale. Durante quei 15 minuti, nessun altro passeggero si è avvicinato. Nessuno ha detto “posso aiutare?”. L’assenza di reazioni può essere spiegata da molti fattori — paura, ignoranza, indecisione, delega — ma resta il fatto che una comunità che non risponde è una comunità non preparata, né umanamente né civilmente.

Formazione, cultura e coraggio

Preparare il personale dei luoghi pubblici al primo soccorso non è più una raccomandazione: è un’urgenza. Allo stesso tempo, serve promuovere una cultura dell’intervento consapevole e altruistico, che unisca competenza e disponibilità a "mettersi in gioco" in situazioni critiche. È necessario che cittadini, enti, aziende, istituzioni assumano l’idea che saper intervenire non è un lusso, ma un dovere sociale.

A chi spetta questa responsabilità? A tutti noi. Agli enti pubblici e privati, che devono assicurare formazione periodica e presìdi (come defibrillatori accessibili). Alle scuole, che devono introdurre l’educazione al primo soccorso nei percorsi curricolari. Ai cittadini, che devono riconoscere nel sapere salvare una vita una forma alta di impegno civile.

Perché in fondo, ogni volta che non interveniamo, ogni volta che non sappiamo come intervenire, ogni volta che non pretendiamo strutture preparate, stiamo decidendo, consapevolmente o no, chi ha diritto a un’opportunità di salvezza.

Marco Vanzini per #ImpegnoSociale

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